Biennale di Venezia 2024, istruzioni per l’uso

Biennale Venezia 2024 istruzioni

E’ quell’anno in cui vi viene voglia di andare alla Biennale di Venezia, ma non sapete da che parte cominciare? Ecco un piccolo aiutino.

Prima di tutto assicuratevi i biglietti online: è tutto molto semplice e vi risparmierà qualche fila sotto al sole: https://www.labiennale.org/it/biglietti

Poi controllate orari (non sempre quelli che ti aspetteresti) e giorni di chiusura (sono pochi ma esistono).

Studiate il percorso per arrivare alla meta. Personalmente consiglio di cominciare il tour dai Giardini, sia per ragioni metereologiche che logiche: è qui che troverete le cose più interessanti e avrete voglia di trattenervi di più. E’ anche piacevole soffermarsi in uno dei bar sotto agli alberi per una pausa caffè o pranzo, mentre all’Arsenale troverete una caffetteria più simile a quella di un aeroporto.

Arrivateci carichi e pronti a girare tutti i padiglioni perché meritano. L’apertura dei cancelli non è di buon mattino: potete trovare un posticino dove fare scorta di energie prima di cominciare il giro. Personalmente ho scelto il Paradiso (nome non casuale): ho trovato opere d’arte pure sulla via della toilette.

La cosa bella di Venezia durante la Biennale, infatti, è che piena di arte, ovunque ti giri. Gallerie che aprono le porte per mostre temporanee, palazzi che ospitano installazioni di Paesi insoliti un po’ in tutta la città, perfino i manifesti pubblicitari diventano opere d’arte. Entrate ovunque capita e lasciatevi stupire.

Il tema della Biennale di Venezia 2024 è Stranieri Ovunque. Se non temete gli spoiler, qui il mio personale best of Giardini.

  • Il padiglione della Russia è stato appaltato alla Bolivia causa guerra in corso. La Bolivia però non ce l’ha fatta: l’atmosfera è un misto tra Mostra dell’Artigianato, mercatino e museo delle tradizioni popolari.
  • Il padiglione di Israele è chiuso causa guerra. Peccato, perché avrebbe forse dato l’opportunità a qualcuno di capirne le ragioni.
  • Attacchi a Trump ovunque. Si spera che non si rivelino profetici come 8 anni fa.
  • Il padiglione degli Stati Uniti è un tuffo al cuore. I colori sgargianti e i milioni di perline sono altrettanti pugnali affilati.
  • Entri nel padiglione nordico (Finlandia, Norvegia, Svezia) e ti ritrovi nella pancia di un dragone orientale. O su un vascello spettrale arrivato dall’estremo Oriente e naufragato sulle coste del Mar Baltico.
  • La Danimarca interpreta l’essere Stranieri Ovunque indagando il popolo Inuit. Curioso.
  • Porto Rico, un altro pugno nello stomaco. Lo trovi appena entri e capisci cosa significa essere stranieri a casa propria, cosa significa non essere mai veramente padroni del proprio destino, essere liberi. Non c’è posto al mondo per essere libero, se sei portoricano. E la responsabilità è da ricondurre in buona parte a quegli Stati Uniti d’America che promettono di esportare la libertà in tutto il mondo.
  • Giappone: poesia. La caducità dell’esistenza. La precarietà dell’uomo e la sua fantasia nel cercare comunque di governarla. Siamo appesi a un filo, dipendiamo tutti da qualcosa di altro, qualcosa che non possiamo controllare. Siamo tutti stranieri qui. Ma quanta magia c’è in questa precarietà che alla fine si trasforma in musica?
  • Il padiglione della Corea è vuoto, è abitato solo dal profumo.
  • Thresholds: orrore, paura, angoscia. Si capisce che questo mondo è spaventoso.
  • I canadesi però se la vivono bene.
  • UK: ho trovato il padiglione chiuso per technical issue. Metafora molto realistica. Mi viene in mente la coppia di giovani mattinieri che ho incontrato alla biglietteria delle Gallerie dell’Accademia: alla domanda “di dove siete” hanno risposto “We are British, unfortunately”. A proposito: andate all’Accademia entro il 15 settembre, c’è un Willem de Kooning imperdibile.
  • Francia: tra Avatar e Mamma Africa.
  • Serbia: toccante. Essere stranieri in Europa, nel proprio continente, sentirsi respinti, mai veramente parte della comunità di riferimento, chiusi fuori e attraversati dai confini. Eppure estremamente vivi e vicini.
  • Polonia e Romania: toccate dalla guerra.
  • In alcuni casi ho avuto l’impressione che i padiglioni fossero un po’ la caricatura dei paesi, rappresentazione di stereotipi (Brasile, Austria: nulla di inaspettato).
  • Ci sono molti confini, molte guerre, anche intestine, passate, non superate, immaginate, temute, previste. Se vi capita di incontrare sul percorso cittadino il palazzo che ospita l’installazione dell’Ucraina entrate: si chiama Dare to Dream. Ne abbiamo bisogno un po’ tutti nel mondo, a quanto sembra.

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