Calice di prosecco di benvenuto. Sì avete già capito di cosa sto parlando. Del menu di Capodanno, ovviamente. Se potessi avere un euro per ogni volta che ho letto “Calice di prosecco di benvenuto” potrei andare a passare tutto il nuovo anno alle Maldive. Io non so cos’hanno le persone con le feste di fine anno. Probabilmente è proprio la parola “fine” che mette una certa ansia. Ogni maledetta volta che è coinvolta la fine la gente esce di testa. Il finesettimana si trasforma in un inferno il venerdì, quando tutti ti chiedono conto dell’operato dei cinque giorni precedenti, e il lunedì, quando tutti ti trattano come se fossi stato in ferie un mese e mezzo e hanno fretta, devono concludere, ti hanno aspettato abbastanza mentre gozzovigliavi nel finesettimana. Quando si avvicina l’estate è La Fine. C’è da chiudere tutto neanche si aprissero i cieli a Ferragosto e dovessimo tutti presentare il conto: tu all’inferno, non hai risposto a quella mail, tu in purgatorio per i prossimi otto secoli, non hai mandato via la fattura definitiva.
Così prima di Natale si scatena nuovamente la corsa a chiudere ogni pratica, come se non ci rivedessimo tra 10 giorni nel migliore dei casi, o tre nel peggiore. Bisogna tirare una linea per potersi rilassare. Ma poi durante le feste le persone si fanno comunque prendere dall’ansia. Un’ansia diversa, stavolta: il bisogno di divertirsi. E’ assolutamente necessario fare qualcosa di insolito. Il passo al “famolo strano” di Verdoniana memoria è breve. E se si traduce nel menu di Capodanno, è generalmente un’ecatombe.
Prima del mirabolante menu, però, ti tocca passare attraverso le forche del calice di benvenuto. Possibilmente nel flute più piccolo della storia dei flute, non ci si avesse ad ubriacare con il prosecco della Lidl. Nei casi più deprimenti, il calice è di plastica.
Poi si passa ai fuochi d’artificio. Ho fatto una piccola selezione di tristezze, solo per voi.
La pizzeria che apre con il pizzushi (che già al nome girerei il derrière pailettato per tornare a casa), per poi proseguire con una ricciola marinata al Matcha blu. Il ristorante di pesce di Cagliari che ti propone in accompagnamento a un signor menu una bottiglia ogni due persone. Di cosa? Ma di Traminer aromatico del Friuli, ovviamente.
Da nord a sud Italia è un tripudio di Wellington: filetto ma anche branzino. Lo strudel è di baccalà, il carpaccio è di rucola (?), i medaglioni (leggasi hamburger) sono di filetto (senz’altro) per di più al gin tonic, dotati di un immancabile zest di limone.
Poi via a una valanga di tartufo (sta bene con tutto, tanto più se è nero), foglie d’oro (perché non si bada a spese per Capodanno, sennò sei povero tutto l’anno), astice con variegate emulsioni, spuma di cocco, spuma di parmigiano, spuma di lardo (perfino di Patanegra), cappuccino di foie gras (di più non dimandare).
Maionese sì ma di soia, così fingiamo di fluttuare leggeri fino alla portata numero 13 (che poi generalmente è il cotechino). In alternativa si può provare la maionese alla ‘nduja, da accompagnare a un’ignara rana pescatrice su crema di asparagi (anticipo benaugurale della primavera che verrà).
I tortelli sono ripieni di gamberi, ma con il cioccolato nell’impasto e uno zest di limone (aridaje) a conferire la nota agrumata che non fa mai male. Si chiude con il panettone alla maniera dello chef. Ma come sarebbe questa maniera? E chi è lo chef? Ma che importa, in alto i calici di plastica, in corpo le lenticchie. Che il nuovo anno ci trovi satolli di vita, di risate, di amici fidati e di compagni di sbornie pronti a reggerci la testa nel momento del bisogno o prepararci la tisana mentre cerchiamo di buttare giù il Duca di Wellington per intero. Buon 2024, buon divertimento!