Ero molto indecisa su cosa avrei scritto dopo questo Vinitaly 2023. Solitamente torno a casa con un pacchetto di tendenze, vitigni strani da conoscere e far conoscere, bollicine insolite, prodotti fuori dal comune. Ma quest’anno no, la cosa che mi ha colpito più di tutte non sono stati i vini. Colpo di scena. O forse no, per chi si occupa di vino da qualche anno. Sono state le persone a colpirmi più di tutto, i vignaioli in particolare. Un mondo veramente inebriante.
Ed è questo che per la maggior parte del tempo mi ha fatta sentire in stato di ebbrezza, non gli innumerevoli assaggi. Ho vissuto edizioni di Vinitaly molto più alcoliche. Quest’anno ho parlato davvero con tante persone. E tante persone mi hanno raccontato cose in maniera diversa dal solito.
Il linguaggio del vino è cambiato molto negli ultimi anni, non c’è più il registro impostato che c’era un tempo, non c’è più il solito vocabolario da corso di sommelier, la solita austerità. C’è la voglia di raccontarsi e raccontare un territorio, aprirsi al pubblico, far conoscere chi si è e cosa si vuole trasmettere attraverso il proprio lavoro. Il vino si presenta come si farebbe con una persona, la vigna stessa viene personificata nel racconto di chi la vive ogni giorno come fosse qualcuno di famiglia, che ha le sue giornate no, le sue fissazioni e i suoi incontestabili lati positivi.
In fiera si trovano le stesse persone che si trovano in vigna e anche questa è una tendenza che si è affermata nel corso degli anni. Un tempo era più facile trovare la figura commerciale, era più difficile parlare con il produttore e ancora più difficile con un produttore che lavorasse direttamente la terra o facesse i travasi in cantina. Oggi non è più così.
Spesso trovi l’enologo, che ti racconta com’è nato il suo capolavoro rosato: è il caso di Aliè di Frescobaldi, frutto di nove vendemmie diverse, nove vini differenti assemblati in modo da trovare una particolare sfumatura di colore che ti fa bere il vino con gli occhi prima ancora di averlo versato. O ti racconta l’esperimento ancora più sofisticato della riserva in rosa, di cui si producono pochissime bottiglie ed è vietato farle conoscere negli Stati Uniti perché non basterebbero.
Trovi il vignaiolo indipendente che ti racconta del vino prodotto in Friuli Venezia Giulia in una maniera unica: Radikon, un produttore straordinario che si è messo in testa di fare le cose in modo differente, ottenendo dei vini indescrivibili, di una potenza e di una personalità molto difficile da trovare.
Trovi il vignaiolo fieramente lombardo trasferito in Toscana: Il Palagione, che produce una Vernaccia di San Gimignano insolitamente fresca, floreale e agile, in cui si ritrovano influenze dei vini del Nord Italia e in particolare del Trentino Alto Adige e dello stesso Friuli Venezia Giulia.
Trovi appunto il vignaiolo dell’Alto Adige che ha un approccio non solo biodinamico ma olistico – Tropfltalhof – che ti racconta con una faccia serissima che il suo Sauvignon Blanc in 20 anni di agricoltura bio ha deciso che avrebbe prodotto solo 900 grammi di uva per pianta.
Trovi la giovane enologa, Alice Bono, 28 anni di cui 4 passati nella cantina di Pakravan Papi a Riparbella: dall’altra parte del mondo (Australia e Nuova Zelanda) si è portata dietro la consapevolezza del Climate Change e delle prossime sfide del mondo del vino.
E poi trovi le storie belle, come quella della cooperativa agricola sociale Calafata, in Toscana, che ha iniziato a produrre vino quasi per caso sulle colline lucchesi, a pochi passi dalla città, dando lavoro ad ex detenuti e persone che devono ancora finire di scontare la propria pena. Vini semplici, sinceri, divertenti, che ti fanno effettivamente tornare la gioia di vivere. Immagino che sia proprio questo il senso del progetto.
Capita di imbattersi nel produttore piemontese, Le Piane, che ti fa scoprire un pezzo di Piemonte che avevi sfiorato senza approfondire troppo e ti apre un’altra prospettiva sul mondo del vino. Un mondo costituito da due emisferi: uno etereo e uno muscolare. O anche muscoloso, come un vino “chiacchierone” che parla a tutta la tua bocca e si racconta da solo, se sei disposto ad ascoltarlo.
Incontri i produttori di vini balcanici – albanesi, serbi, macedoni – e scopri che c’è tutto un altro mondo da esplorare. Ancora acerbo, ma scalpitante. E poi trovi gli amici e ti senti di nuovo a casa. Vinitaly è questo: persone, volti, anime, una marea di gente in cui è impossibile trovarsi anche se ti dai un appuntamento, anche se ti telefoni e fornisci indicazioni modalità battaglia navale. Un posto dove non trovi mai chi pensavi, ma scopri sempre qualcosa che non sapevi nemmeno di stare cercando.