Qualche tempo fa, tornando da un evento che mi aveva messa in contatto con una marea di persone, prevalentemente uomini, ho provato l’assoluto bisogno di stare in compagnia di qualcuno che considerasse il mio cervello. Piano, non intendo fare la solita filippica da donna frustrata che pretende di essere considerata intelligente. Solo, semplicemente, il mio cervello si era un pochino offeso di esser stato messo così a lungo in disparte. Eppure avevo ricevuto tanti apprezzamenti, sì. Anche professionali, ma per uso personale, diciamo così.
Ho sentito chiaro e netto il bisogno di qualcuno che considerasse non solo l’involucro, ma anche il contenuto. Non perché portatore di un’intelligenza sopraffina o di una conoscenza fuori dal comune o di idee particolarmente rivoluzionarie. Ma così, per la pura gioia di sentirsi tutt’uno con il contenitore. Qualcuno che prendesse in esame il mio essere senziente, capace di provare emozioni ed esprimere qualche opinione, qualche consiglio, qualche sottosviluppato punto di vista. Di essere considerata una persona, insomma, nulla di più.
Non è la prima volta che mi capita, ma le altre volte mi sono sempre in qualche modo colpevolizzata per questo. E’ colpa tua Francesca, se il tuo cervello resta in secondo piano: nel migliore dei casi non sei stata in grado di esprimerti, nel peggiore, ciò che hai espresso valeva molto poco.
A questo giro però no. Non credo che c’entrino i nuovi movimenti di empowerment femminile. Forse solo una maggior consapevolezza dei limiti delle persone, a partire dai miei. A questo giro ho cominciato a fantasticare su un mondo in cui non avrei più avuto bisogno di spremere con tutta forza il contenuto dal tubetto iridescente, per dimostrarne l’esistenza. Ho cominciato a pensare che mi sarei costruita un mondo di sole donne.
In effetti non è che ci sono andata molto lontana, negli ultimi anni. Il mio team lavorativo è formato prevalentemente da donne. Guerriere flessibili e inamovibili, sagge e spregiudicate, tenere e temerarie. Praticamente un esercito in grado di affrontare ogni situazione. Eppure spesso è per un uomo che scendiamo in campo.
Ho cominciato a riflettere sui nostri clienti e ho trovato solo poche sparute figure femminili: sono soprattutto gli uomini che ci ingaggiano. E non per le nostre gambe, ma perché siamo in gamba, perché vogliono il più agguerrito degli eserciti al loro fianco. Il fatto di non avere che poche clienti donne non dipende dal fatto di essere donne, ma dal fatto che esistono ancora poche donne dotate di potere decisionale e di un conseguente budget da amministrare. Magari alla fine dei conti sono loro che decidono, ma non ufficialmente.
Una riflessione che mi ha gettata ancor più nello sconforto: non ce la farò mai a costruire un mondo di donne, ho pensato. Poi però mi è tornata in mente un’altra situazione lavorativa, un festival affrontato con un team di sole donne e protagoniste per lo più al femminile. Avrei pagato per una dose di testosterone. La sera mi aggiravo come un cane randagio in cerca di una presenza maschile che potesse salvarmi. No, un mondo di sole donne non è la strada giusta. Ma un mondo guidato dalle donne varrebbe la pena provarlo. Anche solo per rubare il microfono a Sabrina Salerno e gridare a tutti che oltre alle gambe c’è di più. Naturalmente, vestite come lei.