Per qualcuno l’estate significa luce, per molti è sinonimo di mare, per un gruppo di elitari equivale a passeggiate tra i monti, malghe, formaggi d’alpeggio. Per me l’estate è soprattutto un odore. Quello penetrante dei fichi maturi schiacciati per terra, quello di ciabatte, maschere da sub e palloni di gomma che ti invade le narici quando passi davanti a uno di quei negozi rimasti negli anni Novanta che si trovano in ogni località di mare. Il profumo della pizza calda mangiata all’alba nel primo forno aperto lungo la via del ritorno. L’odore della pelle che si scalda al sole. L’aroma di cocco posticcio del solare della vicina di ombrellone. Le alghe che seccano sulla spiaggia dopo la libecciata. Il fieno tagliato. I peperoni sulla brace. E più di tutti l’odore della pineta la mattina dopo la prima pioggia di fine agosto, che ti ricorda di quanto era preziosa questa estate, ti fa tornare in mente tutto quello con cui avresti voluto riempirla, ti fa pensare a quanto tempo dovrà passare fino alla prossima. A quante cose saranno cambiate la prossima estate e quante saranno ancora lì ad aspettarti, sempre uguali a loro stesse, anno dopo anno. E ti costringe a rallentare, per assaporare ogni singolo istante rimasto dell’estate, come se fosse l’ultima.
In copertina: Floating on the edge of fantasy @ Scarlett Hoof Grafland