Dopo mesi di scrofe volanti, di dittatori in erba e un’accozzaglia di populisti allo sbaraglio, nelle ultime settimane la campagna per il referendum costituzionale del 4 dicembre ha cambiato verso. L’inversione di rotta è stata netta, il fronte del “non cambiamento” si è fatto strada compatto. Tra destra e sinistra è partita la gara a chi la sparava più piccola. I più accesi sostenitori del sì hanno cominciato a dire che “sì qualcosa cambierà, ma non ve ne accorgerete nemmeno e alla fine se vince il no pazienza”. I moschettieri del no hanno inserito il disco del “non cambierà niente, è anche inutile che accendiate il cervello”. Ora mi domando: perché il non cambiamento dovrebbe spingermi a votare in un modo o nell’altro?
Ogni elezione che passa la classe politica so convince che l’uomo del popolo è un animale debole e timoroso. Il dictat è: non spaventare l’elettore. Sia mai che gli venisse voglia di scappare con la cassa per davvero.
Forse hanno ragione loro. D’altronde viviamo in una società in cui prima di lasciare un posto di lavoro che non ci soddisfa preferiamo passare una vita da infelici. E prima di rinunciare a un mini-privilegio ci arrocchiamo su posizioni estreme o troviamo il modo di farci scrivere una legge ad hoc. Il Vangelo ci ha detto di conservare il nostro corpo come fosse un tempio per l’anima e noi l’abbiamo tradotto in ore di palestra, punturine e dieta Dukan.
Anni di sociologia e antropologia culturale ci hanno convinti che in Occidente siamo attaccati alle nostre abitudini come un naufrago alla zattera. Ma è possibile che il paradigma della conservazione sia l’unico che abbiamo per leggere la società contemporanea? Forse hanno ragione quelli del “non cambiamento”, convinti che tanto ormai le rivoluzioni non si fanno più e che una marea di selfie ci seppellirà.
O forse no. Magari le nuove generazioni una rivoluzione l’hanno già fatta o la stanno compiendo, in silenzio e fuori dai riflettori. Magari è per questo che i sondaggi non ci azzeccano più nemmeno per sbaglio. E magari le persone andranno a votare in maniera consapevole domenica prossima. Comunque vada, per spiegare il risultato, faremmo meglio a uscire dal paradigma del non cambiamento.
In copertina: Sergio Michilini, 1981, LA ZATTERA DELLA MEDUSA ITALIANA, olio su tela, cm91x116