Ciclisti di città, il rischio è il nostro mestiere

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All’indomani dell’ennesimo incidente grave ai danni di un ciclista a Firenze (il quarto nel giro di 18 mesi, di cui due mortali), ho cominciato a interrogarmi sulla sicurezza di questo mezzo. Lungi da me colpevolizzare qualcuno su casi drammatici e peraltro molto singolari come questi. Ma non posso fare a meno di chiedermi: quanto sono sicure le nostre città per chi va in bici? O farei meglio a dire: quanto poco sicure sono le nostre strade per i ciclisti di città?

Sentiamo continuamente dire che l’aereo è il mezzo di trasporto più sicuro del mondo. Sapete qual è il posto della bici in questa classifica? Il penultimo. Più pericolosa della bici c’è solo la moto (ma un gran bel po’, così per rassicurare tutti gli scooteristi e i motociclisti).

Quale possa essere la via più adatta e immediata per scalare la classifica e rendere le strade più sicure per chi va in bici non lo so, ma sicuramente so quali strade sono da evitare. Non mi troverete mai d’accordo sul progetto di mettere il limite 30 km/h in città, ad esempio, idea galoppata un tempo da #salvaiciclisti e qualche associazione su e giù per la galassia dei biciclettai. Sono la prima a irritarsi a morte con chi va eccessivamente piano senza motivo, senza contare che sarebbe completamente inutile: avete presente le inchiodate in Fipili ad ogni autovelox? Nessuno rispetterebbe il limite, salvo improvvise e improvvide fermate.

Né mi vedrete mai fare una crociata per avere più piste ciclabili. Non tutte le strade sono adatte a creare percorsi protetti nelle nostre città, men che mai a Firenze, dove la carreggiata è contesa da posti auto, motorini, cassonetti, dehors di bar, ristoranti e vinaini. Eppoi è risaputo che non è la pista a fare il ciclista, ma piuttosto il contrario.

Tokyo ha appena 10 km di ciclabili per 15 milioni di abitanti, eppure il 14% degli spostamenti avviene in bici.

E’ una questione culturale. E qui comincia il programma politico.

To share or not to share?

Se vogliamo rendere le nostre strade un posto più accogliente, dovremmo fare in modo che ci siano meno auto in circolazione. Ma come? Ad esempio convincendoci che siamo già entrati con tutti e due i piedi nell’era della sharing economy, dove non importa possedere un’auto (ed essere posseduti da lei), ma si può trovarne una lungo la via e usarla per quel che ci serve.

Public is megl che uan

Oppure investendo su mezzi pubblici di trasporto che siano degni di tale nome (che poi risultano anche ai vertici della classifica tra i mezzi più sicuri). Un servizio che sia puntuale, capillare, affidabile. Sto parlando di un altro Pianeta?

Pride & prejudice

E poi infine, passaggio ancor più ostico, sconfiggere i pregiudizi galoppanti in chi non ha mai usato la bici per andare a lavoro perché è convinto che:

  1. Arriverà in ufficio madido di sudore (mai successo in 5 anni di viaggi su e giù per la città)
  2. Ci metterà più tempo (quanto in auto, se comprendi la ricerca del parcheggio)
  3. Gliela ruberanno non appena la perde di vista (beh ma il rischio è il nostro mestiere…)

Ma temo che quest’ultimo passaggio sia ancora più difficile che avere un bus puntuale.

Foto credits

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