Andare in bici in città è un’esperienza formativa, lo sostengo da sempre.
Andrebbe prescritto a tutti i cittadini, di tanto in tanto. Questa settimana ho imparato un sacco di cose che non sapevo sul girare in bici. Ad esempio:
- Il manubrio della mia bici può girare su se stesso di 360 gradi e mantenere completamente la sua funzionalità (sì, l’ho ritrovata così una volta che l’avevo parcheggiata nella giungla della Stazione di Santa Maria Novella). Non sono sicura che si possa dire lo stesso per i freni, ma tant’è: ci sono sempre i piedi.
- Si può sopravvivere senza campanello (me l’hanno rubato qualche settimana fa, ma in confronto a quelli a cui hanno rubato la bici 6 o 7 volte di fila sono una miracolata). Anzi, senza campanello della bici si può finalmente fare la pace con i pedoni, che si sentono sempre offesi da questa tecnologia. E imparare a chiedere permesso nelle situazioni più insidiose.
- Si può sopravvivere al traffico e ai cantieri e attraversare indenni la città da parte a parte in sella alla bici. Tuttavia si tratta di un’esperienza da affrontare con lo spirito di chi non ha niente da perdere.
- In giro ci sono più persone gentili di quello che pensavo. Automobilisti capaci di fermarsi per farti passare sulle strisce pedonali e addirittura pedoni capaci di chiedere scusa se ti attraversa all’improvviso mentre stai arrivando a tutta velocità in bici.
- Non ho mai avuto così contezza della fragilità delle ossa del mio cranio come quando ho attraversato la città in bici in mezzo al traffico. Andare in bici in città: ecco un buon metodo per aumentare la consapevolezza di sé.
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