Perché la gente fissa il fuoco? Cosa c’è che ci ipnotizza di fronte alle fiamme che ardono nel camino? Deve essere qualcosa che abbiamo iscritto nel Dna di umani, perché – fateci caso – quando noi umani di città, privi di normale caminetto, accendiamo un fuoco per fare la brace o scaldare la casa di campagna, ci piazziamo là davanti e non ci spostiamo più. Potremmo stare ore a guardare il fuoco. Scartata l’ipotesi di essere tutti potenziali serial killer, vi siete mai chiesti perché? Io l’ho fatto e da brava umana secolarizzata (al netto degli dei del focolare e degli spiriti celtici), ho cercato la risposta nella nostra nuova comune divinità: Google.
La prima cosa che ho trovato immettendo la domanda “perché la gente fissa il fuoco” è stata una pagina di Wikihow: come ipnotizzare una persona in 20 passaggi.
Che il fuoco abbia un potere ipnotico dunque è comunemente noto. Ma perché?
Non mi sono data per vinta e ho interrogato di nuovo l’oracolo Google. E’ venuta fuori una ricerca dell’Università del Michigan che per la prima volta ha indagato l’aspetto sociale dell’introduzione del fuoco tra i nostri antenati. Scoprendo che attorno al fuoco le conversazioni cambiano completamente di tono e argomento ed è là che si costruisce una comunità.
Per giungere a questa conclusione i ricercatori americani hanno studiato da vicino una popolazione di cacciatori che vive tra Botswana e Namibia, i Ju/’hoan, analizzando le conversazioni fatte alla luce del sole e quelle prodotte davanti al falò. Risultato: le conversazioni diurne sono per lo più centrate su questioni pratiche ed economiche, ma anche sul gossip e sulle battute tra persone dello stesso sesso, mentre attorno al fuoco l’immaginazione galoppa e a dominare su tutto sono le storie (qui sotto un’immagine tratta dalla ricerca).
Sì, le storie. Racconti di vita vissuta, enfatizzati dal narratore, ma senza lo scopo di promuovere o giudicare i protagonisti. L’obiettivo è più che altro quello di comprendere i comportamenti altrui e costruire fiducia reciproca. Le storie diventano lo strumento per appianare conflitti, diffondere conoscenza e utili insegnamenti, tramandare modelli di comportamento, ma anche generare un comune sentire. Il tono e il linguaggio delle storie tende ad essere ritmico, complesso e ricco di riferimenti simbolici. E non c’è dubbio che chi ascolta ne ricavi preziose lezioni di vita. Spesso si respira la suspence tra gli ascoltatori, qualcuno piange o scoppia a ridere. Quando il narratore si interrompe, gli altri arricchiscono il racconto di dettagli e ne discutono insieme.
E’ un livello di intimità che si raggiunge solo quando la tribù si riunisce attorno al fuoco, un’attitudine che è stata rilevata anche in altre popolazioni che vivono in condizioni simili ai nostri avi: lontani dalle tensioni del giorno, le attività notturne virano su canzoni, balli, cerimonie religiose e racconti, i cui protagonisti sono spesso persone conosciute. Queste storie descrivono il funzionamento dell’intera società su scala ridotta, in maniera informale. Le conversazioni notturne giocano così un ruolo fondamentale nell’evocare reti sociali complesse e nel trasmettere “il grande disegno” delle istituzioni culturali.
Ma che succede quando il tempo economicamente non produttivo rischiarato dalle fiamme si trasforma in tempo produttivo, illuminato dalla luce artificiale? Insomma che succede a noi pagatori di bolletta della corrente?
Di certo se cerchiamo una situazione più intima accendiamo delle candele o il fuoco nel caminetto, come se inconsapevolmente volessimo ricreare la situazione tipo dei nostri antenati o dei cacciatori del Botswana. Guardare il fuoco ci rilassa, rallenta notevolmente la pressione arteriosa e ci mette in una disposizione d’animo più propizia per comunicare, anche questo è provato scientificamente.
Altrettanto certo è che ci è rimasta la fame per le storie, che siano in formato di libro, film o serie tv. L’industria che produce storie fa soldi a palate e chiunque oggi voglia gettarsi nel marketing sa che passa tutto dallo storytelling.
Come i cacciatori del Botswana facciamo girare la nostra immaginazione attraverso le storie, le usiamo per acquisire nuove prospettive e allargare i nostri orizzonti.
Ma se la giornata tipo dell’homo digitalis finisce davanti allo smartphone o al tablet, se basta premere un tasto per mettere fine alla storia e non abbiamo più nessuno con cui discuterla, valutarla e capirla, la nostra comunità è destinata a svanire con la brace. Non lamentiamoci poi della freddezza delle community virtuali. Piuttosto ricordiamoci del perché la gente fissa il fuoco e accendiamo un falò.