Se non siete ancora stati all’Expo di Milano, andateci. Non voglio gridare al successo (o men che mai mettermi a fare i conti della serva sull’onda del Fatto Quotidiano e snocciolare cifre col ditino alzato), ma personalmente l’ho trovato qualcosa di sorprendente. Da italiana media, mi stupisco sempre quando trovo qualcosa di ben fatto in Italia. Lo so, dovremmo imparare ad essere un po’ più orgogliosi della nostra nazione. Come la Thailandia, che mi ha fatto aspettare un’ora in fila per propormi un filmato su “Sua Maestà che lavora anche quando piove per il suo Paese”. Ma tant’è, mi continuo a stupire di come tutto più o meno funzioni. Nonostante i grandi numeri del sabato e una folla che copriva il Decumano da parte a parte, sono riuscita a vedere quasi tutto (sì, vabbè, accontentiamoci), a mangiare (non era cosa scontata), a bere e perfino ad andare in bagno. Non solo: ho trovato tutto piuttosto pulito, personale tutto sommato cortese (e avrebbe avuto tutte le ragioni ad essere fuori di testa), gente che rispettava le regole. E, in generale, entusiasmo, voglia di essere lì.
Venendo via ho pensato che mi dispiaceva averlo scoperto così tardi e che non avrei più potuto tornarci.
E ora? Che ne sarà di Expo dopo Expo?
L’idea che il 31 ottobre i cancelli di Expo chiudano per sempre e che il giorno dopo quel parco così affollato sarà deserto mi mette angoscia.
Ci sono voluti anni a mettere in piedi padiglioni, aree verdi, ristoranti, servizi e giochi per bambini. Per mesi la Fiera di Milano è stata la casa di centinaia di persone, gente che ha lavorato con giornate impossibili, accogliendo milioni di visitatori. Si stima che un italiano su 4 che fosse in grado di spostarsi ci sia andato. C’è chi è stato all’Expo più di una volta, addirittura chi ha fatto l’abbonamento. Chi ha visitato più di un ristorante, chi si è messo a correre all’apertura dei cancelli per arrivare primo sotto al padiglione del Giappone, chi ha aspettato più di 5 ore per entrare a Palazzo Italia, chi ha cantato cori gospel davanti al padiglione della Germania, chi ha patito il caldo torrido sotto i tendoni del viale principale e sopportato la pioggia in coda. Non sono in grado di stimare il numero dei selfie scattati con l’Albero della Vita sullo sfondo, ma propendo per una cifra a sei zeri.
Ad oggi non si sa ancora cosa ne sarà dei padiglioni di Expo dopo Expo. Di sicuro resterà in piedi Palazzo Italia, ma non è altrettanto certo che sopravviva l’Albero della Vita, simbolo dell’edizione 2015. Qualcuno ha proposto di trasformare l’area da un milione di metri quadrati in una grande città della conoscenza e dell’innovazione, una sorta di Silicon Valley de noantri. La Triennale di Architettura di Milano si è candidata come prossima inquilina, mentre il Comitato olimpico ha avanzato l’ipotesi di un impianto per paraolimpici, da sfruttare nel caso l’Italia si aggiudicasse l’ennesima follia, le Olimpiadi del 2024. Perfino la Scala ha lanciato un’Opa su Palazzo Italia, per farne l’archivio delle sceneggiature.
Ma nonostante tutto l’idea di Expo dopo ottobre mi evoca inevitabilmente le immagini del parco di Hannover. Le immagini di una festa finita all’improvviso, i costumi di Halloween abbandonati in tutta fretta sotto le intemperie e un grumo di fantasmi intrappolati nel cemento.